L’attuale pandemia da coronavirus rappresenta per tutti noi un trauma con la “T” maiuscola in quanto si tratta di una malattia potenzialmente letale e siamo tutti esposti al rischio di un eventuale contagio. Inoltre disponiamo solo di un parziale controllo sul rischio del contagio: sebbene sia fondamentale rispettare le regole e le restrizioni dettate dai decreti governativi siamo alle prese con un “nemico invisibile” che ci minaccia comunque in quanto non è possibile vivere in isolamento totale.
Inoltre la stessa condizione di isolamento sociale, che rappresenta un fattore di sicurezza dal punto di vista del rischio del contagio, ci priva allo stesso tempo di un fondamentale fattore protettivo dallo stress: è noto in letteratura quanto la presenza del sostegno sociale mitighi gli effetti logoranti per il nostro sistema nervoso di uno stress cronico e prolungato. Infatti la pandemia da coronavirus non si configura come un evento stressante circoscritto e definito nel tempo: la dinamica della diffusione del contagio ci espone piuttosto ad un andamento “ad altalena” per cui viviamo “ondate di paura” a seconda della nostra particolare situazione. Fondamentale a questo proposito è il nostro livello di esposizione al rischio del contagio e il grado di coinvolgimento personale: l’area geografica in cui viviamo, il lavoro che svolgiamo (pensiamo ad esempio agli operatori sanitari o ad altre professionalità direttamente coinvolte nella gestione della pandemia), se qualcuno che conosciamo, o un parente, è stato contagiato o abbiamo contratto noi stessi il virus e così via.
Al di la delle variabili esterne poi dobbiamo considerare il fatto che ciascuno di noi risponde allo stress in modo diverso: lo stile di coping e il livello di resilienza allo stress dipendono dalla nostra storia e dalle nostre risorse interne.
Quando è dunque il caso di chiedere aiuto?
Ci devono preoccupare alcuni segnali che ritengo utile elencare per definire quando può essere opportuno un intervento psicologico finalizzato alla decompressione del sistema nervoso: la risposta di allarme attiva una serie di reazioni fisiologiche del sistema nervoso simpatico che devono essere riportate ad un livello inferiore per evitare una attivazione esponenziale relativa all’andamento ad altalena che abbiamo su descritto.
In primis i disturbi del sonno: uno stato di attivazione eccessivo e prolungato ci impedisce di riposare interferendo con la possibilità di addormentarci o determinando frequenti risvegli notturni. Anche gli incubi notturni possono intervenire a disturbare il nostro sonno interferendo con la possibilità di riaddormentarci al risveglio.
La difficoltà di concentrazione: non riusciamo più a svolgere le nostre solite attività o notiamo una notevole riduzione della nostra performance. Un eccessivo livello di arousal interferisce con le funzioni cognitive superiori: l’attenzione, la memoria e le funzioni riflessive.
Uno stato di agitazione psicomotoria costante o configurabile come crisi di ansia generalizzata: la necessità di muoverci, la fuga del pensiero verso scenari tragici e irreversibili, tachicardia, tremori, vertigini, sudorazione associata ad un vissuto spiacevole di perdita di controllo.
Per far fronte ad uno stato di iperattivazione simpatica del nostro sistema nervoso sono utilissime le tecniche di respirazione, la mindfulness o altre forme di meditazione e l’EMDR applicato a tecniche di stabilizzazione, grounding e installazione di risorse. Tutto ciò è possibile farlo online con un esperto che guida a distanza l’esecuzione degli esercizi.