La misura dell’isolamento sociale resosi necessario al fine di contenere la diffusione del contagio ha avuto effetti psicologici diversi nelle diverse fasi del ciclo vitale: vorrei fare un breve focus sull’adolescenza in quanto si tratta di una fase già critica dello sviluppo per cui è necessario prestare una maggior attenzione rispetto ad altre fasi a eventuali segnali di disagio psicologico.
In adolescenza il gruppo dei pari diventa il nuovo gruppo di appartenenza: la necessità dell’adolescente di contrapporsi ai genitori, alle regole genitoriali, ai divieti e alle richieste, si appoggia al parallelo processo di identificazione nel gruppo esterno alla famiglia, il gruppo dei pari appunto, mediato da regole di appartenenza diverse. Questo doppio processo è del tutto normale e necessario, vitale per il percorso di individuazione: attraverso il disinvestimento nelle figure genitoriali e l’investimento nel gruppo dei pari l’adolescente abbandona vecchie definizioni di sé per acquisirne di nuove arrivando, alla fine, a maturare una identità propria, individuale e unica, frutto dell’integrazione di parti vecchie con parti nuove del sé e dell’abbandono di quelle parti non più considerate desiderabili.
La quarantena imposta dalla pandemia del coronavirus ha in parte interrotto questi processi: la sospensione dell’attività didattica, delle attività sportive e di tutte le attività extra-scolastiche ha privato gli adolescenti dei contesti sociali esterni alla famiglia e dominati dai gruppi di coetanei, necessari per sostenere la crisi evolutiva in atto. L’adolescente può aver soggettivamente vissuto una sorta di regressione in cui la famiglia è tornata ad essere l’unico contesto sociale in cui confrontarsi e definirsi.
A mitigare questa sorta di “arresto evolutivo” sono stati gli strumenti tecnologici: la scuola è diventata videolezione e anche la socialità si è trasferita nel mondo virtuale e i contatti con i coetanei si sono conservati attraverso le videochiamate, le chat di gruppo, l’interazione online con un videogioco. I genitori spesso hanno dovuto derogare alle regole, laddove presenti, sul numero di ore da dedicare agli smartphones proprio perché tutte le attività e le interazioni sociali si sono spostate nell’etere concedendo un surrogato prezioso ai contesti di vita esterni alla famiglia.
Del resto gli adolescenti già prima della pandemia erano abituati a una socialità mista, quella che si svolge dal vivo e quella mediata dagli schermi, e forse meno degli adulti hanno risentito di questo passaggio perché già confidenti con le logiche degli strumenti e delle attività online. E’ importante però sottolineare che la socialità virtuale non può sostituire quella reale e sui tempi lunghi questo determinerebbe dei problemi nell’ottica di uno sviluppo armonico dell’individuo. La socialità virtuale nasconde delle trappole: ci si può sentire più sicuri a interagire da dietro uno schermo perché questo ci “protegge” facendoci sentire meno “esposti”, possiamo mentire più facilmente o dissimulare le nostre vere intenzioni ed emozioni. In altre parole la socialità virtuale è debole sul piano dell’intensità e dell’autenticità dello scambio umano.
Gli adolescenti potrebbero sentirsi più a loro agio in questa dimensione virtuale perché la loro identità non ancora ben strutturata potrebbe gradire una minor intensità emotiva e trovare dei vantaggi nella possibilità di dissimulare gli aspetti emotivi degli scambi sociali, spesso difficili da gestire in questa fase. E’ perciò importante assicurarsi che il mondo virtuale non diventi per l’adolescente una roccaforte in cui chiudersi ma solo una temporanea sostituzione della vera sfida evolutiva che è quella di stabilire rapporti sociali profondi ed autentici con i coetanei.