Diventare genitori non è un atto biologico ma una serie di processi complessi e intrecciati che investono tutte le sfere dell’individuo: da quella biologica relativa alle trasformazioni ormonali che si innescano alla gravidanza a quella relazionale con il passaggio della coppia da coppia coniugale a coppia genitoriale a quella “relazionale allargata” in quanto cambia la qualità delle relazioni sia con la famiglia allargata che con tutti gli altri e infine alla sfera sociale perché quello genitoriale è un ruolo riconosciuto e codificato dal contesto culturale di appartenenza.
E’ normale che si possano incontrare difficoltà, avere dubbi e timori in una qualsiasi di queste aree e che ci si trovi a vivere una fase di crisi specie all’interno del nuovo nucleo familiare: la coppia, fino a quel momento centrale, deve far posto al neonato e si devono ristrutturare tutti gli equilibri precedenti in funzione della priorità dell’accudimento. Questo non significa che la coppia coniugale cessi di esistere, anzi è molto importante che la coppia riesca a conservare dei momenti di intimità e che anche i bisogni individuali di ciascuno possano trovare riconoscimento e spazio. Il neonato è biologicamente programmato per attivare e costruire una forte relazione, detta di attaccamento, con chi si occupa prevalentemente di lui ma già dalle primissime fasi di vita (dopo i 6 mesi) è in grado di riconoscere altre figure familiari che possono alternarsi al “care giver” principale. Le fasi della crescita si susseguono velocemente e all’iniziale bisogno di attaccamento se ne aggiungono presto altri: l’esplorazione, la socialità, l’autonomia. In particolare con l’acquisizione del linguaggio e della locomozione (dopo il primo anno d’età) il bambino sperimenta gradi crescenti di autonomia e di comunicazione dei propri bisogni e i genitori di volta in volta decideranno quando gratificare le richieste e quando chiedere al bambino di posticipare la gratificazione o piuttosto scegliere la frustrazione. I genitori usano l’innata capacità di sintonizzarsi empaticamente con il bisogno espresso dal bambino per dotarlo di significato (ad es. “ha fame” oppure “è stanco e sta facendo un capriccio”) e rispondere in modo adeguato.
Non sempre è facile interpretare i bisogni espressi dai bambini: anche l’auto-affermazione ad esempio è un bisogno, che ha il suo “imprinting” verso i 2 anni di età, e anche quando viene adeguatamente riconosciuto la risposta “adeguata” non è univoca e dipende dal contesto: a volte si deciderà di sostenere il bambino per nutrire il suo senso di autonomia e autostima, altre volte sarà necessario imporre dei limiti che servono a proteggerlo e a nutrire il suo senso di sicurezza. Una dinamica molto simile si ripeterà durante l’adolescenza con l’aggiunta di ulteriori criticità. I genitori costruiranno insieme al figlio la loro relazione e se il bambino porta nella relazione il suo temperamento specifico e innato i genitori porteranno nella relazione il proprio bagaglio di esperienza, i genitori cioè tendono a riproporre con il figlio una versione più o meno modificata di ciò che hanno vissuto loro come figli con i propri genitori. Questo meccanismo, noto come trasmissione intergenerazionale degli schemi di accudimento ha la funzione di mantenere stabilità tra le generazioni negli schemi di cura della prole per cui ognuno di noi è portatore inconsapevole di un bagaglio di conoscenze che si attiveranno alla nascita del proprio figlio.
Nel parent coaching il genitore viene accompagnato, guidato per rendere più consapevole questo bagaglio inconscio migliorando i propri strumenti di comprensione dei bisogni del figlio, di sintonizzazione empatica e di riconoscimento di quegli aspetti della propria storia di figlio che possono essere di ostacolo ad una sana relazione genitoriale.